Ombre e luci dell’economia reatina nei dati della ricerca Censis

Il report racconta una provincia connotata da dati strutturali non positivi, contrazione e invecchiamento della popolazione, riduzione del Pil e del reddito pro-capite, messa ancor di più a dura prova, prima che dal Covid, dal sisma del 2016.

Una situazione non molto dissimile da quella del Centro Italia, descritta nella indagine della SVIMEZ, presentata in concomitanza, redatta dall’Istituto Tagliacarne per Unioncamere.

Anch’essa sottolinea che nelle regioni centrali del Paese si è assistito negli ultimi 20 anni alla erosione diffusa e consistente dei principali indicatori economici, confermando uno studio precedente significativamente intitolato “La frammentazione del Centro: Tra terza Italia e secondo Mezzoggiorno”.

In questo più ampio quadro di contesto anche i dati preesistenti più negativi che l’indagine del Censis rileva, assumono un diverso, anche se non meno grave, significato: “Più servizi, meno valore aggiunto, ecco come l’economia locale si è presentata all’appuntamento con il Covid-19, che ha reso ancor più difficile il contesto, visto che il 30% delle imprese è a rischio fallimento”

Poi ci sono i dati più salienti sulla situazione determinata dal Covid, in particolare la riduzione del reddito che ha riguardato il 32% della popolazione, con tutto il suo portato di sofferenze per far fronte ai bisogni quotidiani e agli impegni economici precedentemente contratti. Le risorse per superare o alleviare le difficoltà sono state ricevute da familiari, amici, parenti, dallo Stato, da prestiti bancari.

Queste lo ombre più scure che la ricerca rileva, accanto però a delle luci che potrebbero rivelarsi fari per il futuro.

Ne elenco tre: 

  • il risparmio accumulato da chi non ha avuto una riduzione di reddito ma dei consumi, da leggere nella possibile relazione con la propensione più o meno esplicita all’imprenditorialità;
  • l’idea largamente condivisa di sviluppo locale;
  • il fenomeno di coloro che la ricerca chiama “ritornanti”.

Il primo: Il 67,7% delle persone ha conservato durante il periodo del Covid lo stesso reddito e il 37,6% ha aumentato il suo risparmio che ora può anche essere impiegato per far nascere attività produttive. L’11 % delle persone, il 15,2 % tra le più giovani, pensa che nel post Covid “potrebbe impegnarsi nell’avvio di una propria attività imprenditoriale”, ma un numero maggiore, il 20,2%, dichiara una più generica disponibilità ad investire.

Un altro punto di grande interesse è l’idea condivisa di sviluppo locale, sia come modello di sviluppo da perseguire che nelle risorse/vocazioni del territorio su cui fondarlo. Si tratta di una novità da sottolineare perché, fino a qualche tempo fa, ciò non era né scontato né condiviso e quell’ “iniziativa molecolare di soggetti economici e sociali”, su cui lo sviluppo locale si fonda, era ritenuta incapace di produrre ricchezza sufficiente e perciò considerata del tutto residuale.

Infine, il punto più promettente per la capacità di essere generativo di quella che il report chiama “modificazione copernicana”, è il dato che rileva che durante il Covid “in quasi il 15% delle famiglie reatine c’è stato almeno un membro che è tornato da località fuori della provincia, in cui lavorava o studiava”. In una provincia che conosce uno spopolamento progressivo che dura da più di un secolo, questo dato assume un significato straordinario, per le possibili implicazioni economiche, sociali, culturali, per la possibilità, che contiene in nuce, di mutamento dell’immaginario collettivo nella percezione del territorio.

L’esito finale del fenomeno dei “ritornanti” non è scontato, magari alcuni o molti torneranno di nuovo “fuggitivi”, ma in parte è un fenomeno irreversibile e il primo indicatore di ciò è la riattivazione del mercato immobiliare. In moltissimi nostri piccoli borghi da tempo le case erano diventate, per chi le deteneva, più un problema che una risorsa, impossibile venderle anche a prezzi simbolici.

Il fenomeno “ritornanti” può essere letto come anticipatore di un’opportunità determinata dallo smart-working che consente di scegliere il luogo in cui vivere senza che esso sia lo stesso dove “produrre occupazione e reddito”, ma alimentando il reddito di molte attività imprenditoriali di quel luogo, cioè consentendo ad altri e altre di permanere e di non emigrare, innescando un circolo virtuoso.

Per cogliere questa opportunità e rendere irreversibile la scelta di chi torna e di chi viene, è necessario rafforzare o dotare rapidamente il territorio dei servizi necessari per soddisfare i bisogni di formazione, salute, mobilità. È necessario farlo subito, perché è l’offerta di questi servizi che determina la domanda, cioè la scelta.

Su un punto la nostra provincia sembra particolarmente svantaggiata nella competizione con altri territori, quella delle infrastrutture materiali, la cui realizzazione è condizionata da risorse e tempi incompatibili con l’urgenza. Diversi i tempi e i costi per realizzare la connettività digitale, la cui completa realizzazione ridurrebbe la domanda di connettività fisica, riducendo lo svantaggio della loro carenza.

A breve arriveranno anche le risorse del PRRN. Sarà compito della politica, ma anche di tutti i soggetti associativi, concorrere ad una rapida condivisione del modo migliore per realizzare obiettivi che il tempo e il caso sembrano aver scelto per noi, perché, come scriveva Schopenhauer, “Alla volontà di vivere, è certa la vita”.

Vincenza Bufacchi