Ricordo e memoria, NOME: “Nutriamo anche quelli di Rieti”

“La memoria è importante, per una comunità; lo è la memoria nazionale, che sta ispirando la proposta di titolazione di un parco od una via ad una vittima della tragedia delle foibe istriane. Ma lo è anche e forse più la memoria della comunità stessa dei fatti e delle persone che essa qui ha vissuto.

Per questo, a nostro avviso il Parco dell’Elefante, costruito di fronte al Manicomio da ex manicomiali, è proprio questo che dovrebbe ricordare, magari opportunamente ricordandolo nella titolazione, magari in futuro ospitando quel museo del Manicomio, oggi a visita “su prenotazione”, o invitando a visitarlo.

Se poi si volesse dedicare un parco cittadino ad una memoria o ricordo, la nostra proposta è che questa memoria venga rivolta a dei bambini, che di quei luoghi sono i principali fruitori. E sarebbe l’occasione per ricordare degnamente i bambini Daniele Cohen e poi Elia, Elisa, Armando, Roberto Gattegno, arrestati qui a Rieti il più piccolo a 5 mesi di vita, il più grande di 7 anni, incarcerati nel carcere di Rieti, e di qui condotti a morte, via Fossoli ad Auschwitz. Della famiglia Gattegno, Primo Levi ha lasciato in “Se questo è un uomo” una toccante pagina che descrive la sera precedente la partenza del treno che in cinque giorni li avrebbe portati direttamente alla morte nelle camere a gas.

Quindi si lasci il Parco dell’Elefante alla memoria del Manicomio di Rieti; si dedichi una via, o una panchina come oggi si usa, alla memoria di Norma Cossetto; si scelga un Parco giochi per la memoria dei quattro fratellini Gattegno”.

Da “Se questo è un uomo”:
<<E venne la notte, e fu una notte tale, che si conobbe che occhi umani non avrebbero dovuto assistervi e sopravvivere. Tutti sentirono questo: nessuno dei guardiani, né italiani né tedeschi, ebbe animo di venire a vedere che cosa fanno gli uomini quando sanno di dover morire. Ognuno si congedò dalla vita nel modo che più gli si addiceva. Alcuni pregarono, altri bevvero oltre misura, altri si inebriarono di nefanda ultima passione. Ma le madri vegliarono a preparare con dolce cura il cibo per il viaggio, e lavarono i bambini, e fecero i bagagli, e all’alba i fili spinati erano pieni di biancheria infantile stesa al vento ad asciugare; e non dimenticarono le fasce, e i giocattoli, e i cuscini, e le cento piccole cose che esse ben sanno, e di cui i bambini hanno in ogni caso bisogno. Non fareste anche voi altrettanto? Se dovessero uccidervi domani col vostro bambino, voi non gli dareste oggi da mangiare? Nella baracca abitava il vecchio Gattegno, con la moglie e i molti figli e i nipoti e i generi e le nuore operose. Tutti gli uomini erano falegnami; venivano da Tripoli, attraverso molti e lunghi viaggi, e sempre avevano portati con sé gli strumenti del mestiere, e la batteria di cucina, e le fisarmoniche e il violino per suonare e ballare dopo la giornata di lavoro, perché erano gente lieta e pia. Le loro donne furono le prime fra tutte a sbrigare i preparativi per il viaggio, silenziose e rapide, affinché avanzasse tempo per il lutto; e quando tutto fu pronto, le focacce cotte, i fagotti legati, allora si scalzarono, si sciolsero i capelli, e disposero al suolo le candele funebri, e le accesero secondo il costume dei padri, e sedettero a terra a cerchio per la lamentazione, e tutta notte pregarono e piansero. Noi sostammo numerosi davanti alla loro porta, e ci discese nell’anima, nuovo per noi, il dolore antico del popolo che non ha terra, il dolore senza speranza dell’esodo ogni secolo rinnovato.>>