Giorno della Memoria, la lettera di Tommaso: “Le guerre sono soltanto delle maledizioni”

“Il giorno della memoria. Che cosa posso ricordare di quell’epoca! Vorrei prendervi per mano cari giovani per portarvi indietro nel tempo con me, per quello che mi è rimasto da ricordare. Non desidero inculcarvi nulla che voi non possiate valutare come ho fatto direttamente con la mia esperienza e poi raccontata, documentata e ampliata dai nonni dai genitori e dalla storia. Cercate di stare vicini a me, desidero trasportarvi nel passato.

Ci troviamo a Roma, la mia città natale. Siamo improvvisamente catapultati in mezzo alla gente del quartiere e attirati dal vociare concitato e preoccupato per l’ennesimo rastrellamento effettuato dalle truppe tedesche. Parlano a bassa voce, per non spaventarci, non vogliano farci sentire che le persone arrestate sono trasferite in via Tasso dove subiscono sevizie e orrende torture, tra cui primeggia quella usuale di strappare le unghie dalle dita delle mani dei prigionieri. Passiamo avanti.

Mi dicono che anche mio padre è incappato in un rastrellamento, ma è riuscito a fuggire prima di varcare l’infernale dantesco e cupo portone. Venite, vi presento il mio amico Aldo. Una sera suo padre non è tornato più a casa, è stato catturato e ucciso insieme con altri 354 civili italiani alle Fosse Ardeatine. Qui ragazzi le giornate trascorrono nella piena emotività di paure, tensioni e allarmi. Mi dispiace non posso offrire di che mangiare. Scarseggia il cibo, le tessere del pane inservibili e impera la borsa nera.

Ora vi faccio conoscere mia madre che ha dato la sua fede d’oro alla Patria, sostituita in cambio da una fede di ottone. Purtroppo porta ancora i segni freschi delle ferite subite durante il bombardamento dello scalo ferroviario di Orte, dove era andata per cercare qualcosa da mangiare dai contadini del posto. Il passaparola informa che alla stazione Termini c’è la possibilità di prendere qualche patata da un carro merci isolato sui binari. Alt, fermiamoci, è meglio non rischiare, già i tedeschi hanno mitragliato altra gente che tentava di dare l’assalto a quel carro. Fermi un attimo che si mangia questo boccone di pane nero che un buon soldato tedesco mi ha donato.

Gustoso, sublime. Ora andiamo a casa, ci mettiamo a dormire, ma vestiti per essere pronti e correre ai rifugi al primo lugubre suono delle sirene che annunciano l’incursione dei bombardieri americani. Neanche a nominarle, ecco che suonano. Troppo tardi, non facciamo in tempo ad andare nei ricoveri antiaerei. Ripariamoci sotto quest’architrave. Ascoltate, si sente il sibilo delle bombe sganciate dalle fortezze volanti sullo scalo di San Lorenzo. Bombe che cadono sparse a largo raggio, non avendo il puntamento chirurgico per poter centrare soltanto l’obiettivo e quindi con l’occasione colpiscono anche la nostra casa provocando la caduta di calcinacci. Siamo stati fortunati.

Quanta polvere, manca l’aria. Usciamo all’aperto incolumi. La gente urla e corre per la strada senza nessuna meta. Questa è la vita di tutti i giorni. I giochi, i divertimenti, la serenità non la conosciamo. Finalmente ragazzi, venite che vi porto a piazza Vittorio: stanno arrivando le truppe di liberazione. Quanta gente festante. Quanti abbracci. È terminato un incubo. Ci sono le truppe che attraversano la piazza, i camion, i carri armati e le caratteristiche jeep americane. L’informazione non esiste. Qualche giornale. Una radio ogni mille abitanti.

Le notizie fanno fatica ad arrivare e circolare. Certe realtà sono ignorate per il problema delle comunicazioni, come è stata ignorata per noi giovani la deportazione degli ebrei con tutte le drammaticità, finalizzata allo sterminio sistematico di un popolo inerme. ​Dopo tutto questo peregrinare potremmo chiederci: a noi giovani che cosa è rimasto? Stranamente la bellezza di aver sofferto, nell’amore e nel bene della famiglia e delle altre persone e il rammarico di non aver potuto fermare un’infernale macchina omicida che non ha risparmiato civili indifesi bambini, donne e uomini.

Una vergogna per il genere umano. Le guerre sono soltanto delle maledizioni. Non ci sono né vincitori né vinti. C’è soltanto la disperazione delle famiglie che piangono unicamente i loro morti e le loro miserie. Tutto qui ragazzi. Spero di non avervi annoiato. Vi ringrazio di essere stati con me. Vi riporto al 27 gennaio 2020, al Giorno della Memoria, alla Shoah, che solo voi con le vostre esperienze, la fiducia, la raccolta delle testimonianze storiche provate e documentate potrà onorare e tramandare ai vostri figli per non dimenticare”.

Tommaso Paparusso