APPUNTI SU IPOTESI DI RIORDINO DELLO STATO

Franco Proietti

L’Italia è chiamata al voto nel bel mezzo di una grave crisi economica che sta mettendo a dura prova l’esistenza di tante famiglie precipitate nella povertà e che rischiano di perdere anche la speranza di avere un nuovo futuro.

Nonostante uno scetticismo di fondo, che dilaga copioso tra i cittadini e che trova alimento anche nella scarsa incisività e qualità degli argomenti che sono al centro del confronto, tra i protagonisti di queste elezioni, sono ancora molti coloro che guardano a questa scadenza considerandola una occasione da non perdere per poter ritrovare la speranza perduta. Si spera in un risultato elettorale utile per dare vita ad un governo stabile, sufficientemente capace di rompere con il passato e, impegnato ad inaugurare una nuova fattiva stagione politica, imperniata su una lungimirante strategia di superamento della crisi.

Una strategia che, nel proporsi di intervenire subito per tamponare i punti di maggiore criticità, tenda a rendere i provvedimenti contestualmente utili, anche per modernizzare le strutture portanti del sistema Italia e, per mettere il Paese in grado d’intercettare con successo le opportunità che si offriranno quando, superata la fase acuta della crisi, il mercato europeo e mondiale tornerà a rianimarsi.

Deve essere chiaro che se queste elezioni non promuoveranno la svolta necessaria, se da esse troveranno conferma, più o meno mascherati, i portatori di un continuismo deleterio e sconfortante, le conseguenze per il paese potrebbero risultare disastrose. In tal caso si aprirebbe inevitabilmente una fase di preoccupante instabilità politica attorno alla quale: banchetterebbe la speculazione finanziaria internazionale; troverebbe preoccupante impulso la spirale recessiva in atto con il conseguente ulteriore impoverimento di milioni di Italiani; si alimenterebbero tensioni sociali e manifestazioni di insofferenza così forti che sarebbe difficile tenere sotto controllo.

La condizione per evitare che tali preoccupanti scenari possano generarsi e mettere in pericolo anche l’assetto democratico del paese e la sua stessa tenuta unitaria, è direttamente connessa alla speranza che dalle elezioni esca un vincitore sufficientemente forte da riuscire a mettere rapidamente in piedi un governo che risulti saldamente al comando per l’intera legislatura, pronto a presentare i primi provvedimenti incisivi per rilanciare l’occupazione e con essa la ripresa dei consumi, deciso a mettere subito sul tavolo un progetto di rinnovamento strutturale del sistema produttivo, insieme ad un riordino organico dell’assetto amministrativo, istituzionale e politico dello Stato.

In tal caso si potrebbe dire che il voto ha dato il via ad una rivoluzione del sistema Italia per renderlo più efficiente e meno costoso. Una rivoluzione democratica scandita da obbiettivi misurati su tempi di breve, medio e lungo periodo tali da coagulare un vasto consenso popolare fondato, sulla credibilità del governo proponente e sulla convincente fattibilità, del progetto che propone.

In questo contesto urge rimodellare, in armonia con i principi sanciti nella Carta Costituzionale, l’asseto amministrativo, istituzionale e politico dello stato: correggere il bicameralismo perfetto, redistribuire più razionalmente i poteri tra le diverse istituzioni dello stato, ridurre il numero dei parlamentari, varare leggi come la riforma elettorale e la regolamentazione del ruolo e dello status dei partiti, abolire le province e le prefetture, ridurre il numero delle Regioni, riclassificare le città e i comuni. Su ogn’una delle questioni qui enunciate bisognerebbe soffermarsi a lungo ma questo scritto si propone, ribadita l’abolizione delle province, solo qualche riflessioni sul riordino di regioni, città e comuni.

Quanto alle Regioni, appare indiscutibile dover procedere ad una riduzione del numero ridisegnandole con dimensioni demografiche e territoriali ottimali per consentire loro di esercitare al meglio, i poteri delegati dallo Stato. Uno Stato impegnato a ribadire che il decentramento deve rappresentare il punto di forza, per modernizzare la sua efficienza e alimentare il suo sviluppo ma, anche per consolidare la sua unità.

Spetterà alle regioni attuali, entro i parametri fissati, indicare allo Stato la perimetrazione più utile ove collocare i loro territori e, una volta assestate le nuove regioni, si potrebbero ridefinire i poteri. Evidentemente bisognerà muoversi con cautela nel ridisegnare la mappa di uno Stato unitario che tende a dare un segno federalista al suo decentramento ma nel farlo, dovrà evitare che le vistose disuguaglianze esistenti tra le diverse aree si perpetuino generando contenziosi che potrebbero risultare disgreganti.

Una cautela che suggerisce di fissare opportuni paletti entro i quali le Regioni potranno esercitare la loro autonomia e tra questi: una legge elettorale e poteri delegati uguali, una rappresentanza proporzionata agli abitanti, una indennità massima omnicomprensiva per gli eletti proporzionata alle indennità dei Parlamentari, organici parametrati alle dimensioni demografiche salvo deroghe ben motivate, molto circoscritte e possibilmente a tempo. In questo contesto bisognerà esaminare anche la opportunità di rivedere le particolari autonomie delle quali godono alcune province e regioni.

Per quanto riguarda le risorse economiche e finanziarie, fatte salve le opportune autonomie impositive, i finanziamenti dello stato potrebbero anche non essere uguali tra le diverse Regioni ma le differenze, dovranno contenersi entro forchette calcolate su valori medi nazionali rilevati per ogni singola voce e parametrati: alla popolazione residente; alla estensione del territorio; alla condizione socio-economica; alla efficienza dei servizi indispensabili che si ha il dovere di erogare ecc. ecc.

I Comuni, che dovranno continuare a rappresentare l’ossatura portante del rapporto tra cittadini e istituzioni democratiche, stante la diversità delle dimensioni demografiche e delle incombenze, potrebbero essere riarticolati in: Città Metropolitane, così come già deciso; Città Medie con meno di cinquecentomila ma più di centomila abitanti; Città con meno di centomila ma più di quarantamila abitanti; Comuni con più di quindicimila abitanti. le Città e i Comuni potranno istituire le Comunità Locali nel loro territorio anche tenendo conto delle prerogative che si rendesse necessario riconoscere ai piccoli comuni loro accorpati.

Spetterà ai comuni la cui popolazione non raggiunge i quindicimila abitanti proporre, entro i limiti di tempo fissati, l’accorpamento ritenuto più congeniale con uno o più comuni limitrofi. Le delibere di accorpamento, potrebbero anche recepire eventuali richieste di aggregazioni diverse rivendicate da loro frazioni o agglomerati. Il nuovo Comune accorpato, nascerà quando tutti i comuni concorrenti avranno deliberato la loro adesione. Se i comuni non provvederanno entro i tempi fissati competerà alla regione decidere il loro accorpamento. Alle città e ai comuni dovranno essere opportunamente redistribuite le competenze e i poteri tenendo presenti quelli esercitati dagli attuali comuni e quelli derivanti dalla soppressione delle province. Alle Comunità potrà essere attribuito dal comune di appartenenza, il compito di sovrintendere nel territorio di competenza, alla tenuta dell’anagrafe, del verde pubblico, degli impianti sportivi, dei cimiteri, delle strade, delle scuole, degli ambulatori, delle biblioteche, della raccolta dei rifiuti, della pulizia urbana e quant’altro.

Il riordino dovrà anche fissare, fatta cento l’indennità Parlamentare, la percentuale massima omnicomprensiva entro la quale dovrà contenersi la remunerazione da attribuire ai Consiglieri ai Sindaci e ai membri delle Giunte delle diverse città, comuni e comunità.

Le istituzioni locali, modificate nei loro assetti dovranno, entro i tempi indicati dal riordino, rediger
e la nuova pianta organica rispetto alla quale, i dipendenti degli enti soppressi o accorpati, ai quali dovrà riconoscersi il ruolo, le funzioni svolte ed il livello retributivo raggiunto, potranno far domanda di passaggio ed essere inseriti nel nuovo Ente compatibilmente con la pianta organica approvata. In via transitoria possono anche essere collocati fuori pianta organica, in ruoli e funzioni diverse garantendo comunque loro, il livello retributivo raggiunto.     

La normativa di riordino dovrà anche sancire che, Regioni, Città, Comuni, Enti e Aziende partecipate, sono tenute ad istituire un sito web nel quale, oltre al resto, dovranno rendere di dominio pubblico: i redditi di tutti gli amministratori, la pianta organica, le retribuzioni dei singoli dipendenti con le mansioni loro attribuite, le note spese di rimborso pagate ad amministratori e dipendenti, l’inventario dei beni dei quali la Istituzione, l’Ente o Azienda sono proprietari e quant’altro e opportuno far conoscere alla  cittadinanza per rendere trasparente la gestione della cosa pubblica.

Ipotesi dimensionali massime degli organismi da eleggere: Città Metropolitane, 80 Consiglieri ed esecutivi con Sindaco e 12 Assessori; Città Medie, 50 Consiglieri ed esecutivi con Sindaco e 10 Assessori; Città, 30 Consiglieri ed esecutivi con Sindaco e 8 Assessori; Comuni, 20 Consiglieri ed esecutivi con Sindaco e 4 Assessori; Comunità (oggi si chiamano Circoscrizioni, Quartieri ecc.) con Presidente e 4 – 10 Consiglieri

                                       Ipotesi di nuovo assetto regionale
Questa ipotesi prevede la istituzione di 9 regioni:
1) Piemonte, Val d’Aosta e Liguria 6.100.000 abitanti (60 consiglieri);
2) Lombardia 9.900.000 abitanti (100 Consiglieri);
3) Veneto, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige 7.100.000 abitanti (70 consiglieri);
4) Emilia Romagna e Toscana 8.100.000 abitanti (80 consiglieri);
5) Lazio, Umbria e Marche 8.100.000 abitanti (80 consiglieri);
6) Campania, Abbruzzi e Molise 7.400.000 abitanti (70 consiglieri);
7) Basilicata, Puglia e Calabria 6.500.000 abitanti (70 consiglieri);
8) Sicilia 5.000.000 di abitanti (50 consiglieri);
9) Sardegna 1.600.000 abitanti (20 consiglieri).
Ogni regione eleggerà dieci Consiglieri per ogni milione e frazione superiore a cinquecentomila abitanti. Le attuali regioni potrebbero diventare le nuove province.