SEI TU IL REPORTER – Mia nonna (90 anni) diabetica e cardiopatica ferma cinque ore al Pronto Soccorso

Per la rubrica di Rietinvetrina SEI TU IL REPORTER ci scrive Susanna P.:

“Sabato 5 febbraio abbiamo portato mia nonna in ospedale a Rieti perché presentava febbre e tremori. Mia nonna ha 90 anni, è diabetica e cardiopatica, è in attesa per un’operazione abbastanza seria che dovrà fare a Roma, cammina appena e deve seguire delle terapie farmacologiche. Al pronto soccorso l’hanno fatta aspettare 5 ore seduta su una sedia prima di visitarla. Finalmente è entrata, l’hanno visitata, ma, scopriamo, non c’è posto in reparto, quindi deve restare nel pronto soccorso. E non è la sola: i corridoi sono pieni di letti.

I pazienti non sono seguiti riguardo le terapie – dichiara la signora Susanna – mia nonna, che è rimasta tre giorni nel corridoio, deve prendere delle medicine a orari precisi, oltre all’insulina, ma questo non succede. Il pronto soccorso tratta le emergenze e nessuno si occupa delle terapie del singolo paziente. Dunque mia nonna non ha ricevuto le medicine e l’insulina. Il suo livello di glicemia è arrivato alle stelle. Per tre giorni nessuno le ha cambiato la biancheria, e mia nonna ha bisogno di aiuto per andare in bagno. Non è l’unica. Dopo tre giorni mia nonna è stata finalmente trasferita in reparto. Le sue condizioni psicologiche sono come si può immaginare.

Qualche giorno dopo mi è stato detto che i pazienti in pronto soccorso erano meno, forse hanno trovato il posto, forse qualcuno ha firmato e se ne è andato, voglio sperare che per nessuno sia stato il peggio. Non voglio pensare a come un virus come quello del Covid possa aver circolato, oltretutto. Io trovo tutto ciò incomprensibile oltre ogni dire.

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Immagino – prosegue la signora Susanna – che non sia la prima volta che ricevete questo tipo di segnalazioni. La differenza è che da due anni a questa parte stiamo vivendo una pandemia mondiale grazie alla quale avremmo dovuto capire che la salute non è uno scherzo, che i presidi sul territorio sono importanti, fondamentali. Saremmo dovuti diventare migliori, e invece abbiamo finito di affossare il sistema sanitario nazionale, per di più dietro le porte chiuse dei reparti dove non possono accedere che malati, medici e infermieri. I parenti rimangono fuori, le voci dei pazienti (e dei lavoratori) rimangono dentro, inascoltate.

Questo è un caso in cui una situazione d’emergenza prolungata come quella del Covid si somma a una situazione altrettanto emergenziale che dura da decenni, quella dell’impoverimento della sanità locale.

Sono state fatte proteste, manifestazioni, e si sono ricevute promesse. Dopo tutto questo, non è possibile che si porti un anziano a morire in un pronto soccorso (perché di questo si è trattato, e si tratta ancora), né che si pretendano i miracoli da chi ci lavora. Scrivo a voi perché possiate dare voce a chi, come mia nonna, si vede negato un diritto che pensavamo fosse fondamentale in un Paese cosiddetto civile” – conclude la signora Susanna P.

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