La tragica alluvione che ha colpito il territorio sardo ha riacceso i riflettori sul rischio idrogeologico, che corre il nostro Paese. Anche nel Lazio la tragedia in Sardegna ha stimolato numerose discussioni su prevenzione e necessità di un nuova programmazione. Appelli che l’ordine dei Geologi del Lazio ha sempre incoraggiato, spesso senza trovare riscontro: “Nella nostra regione – spiega il presidente dell’ordine, Roberto Troncarelli – 372 comuni, il 98% del totale, hanno almeno un’area in cui è elevata la probabilità che si verifichi un’alluvione o una frana. Le aree in dissesto idraulico o geomorfologico interessano infatti una superficie di circa 1.300 kmq che costituisce il 7,6% di quella regionale. Le frane più pericolose occupano il 5% del territorio. Inoltre 350mila persone vivono in aree potenzialmente a rischio di frana o alluvione”.
Il comune che presenta il più alto rischio idrogeologico nel Lazio è Roma, sia per l’estensione territoriale che per il numero di abitanti e per l’alto valore dei beni esposti. I comuni con la maggiore estensione delle aree esondabili sono, invece, Rieti con 44 kmq e Fiumicino con 40 kmq.
“Inoltre – continua Troncarelli – dall’analisi dei Piani di Assetto Idrogeologico elaborati dalle Autorità di bacino la provincia più a rischio risulta essere Frosinone, subito dopo si piazza Roma, poi Viterbo, Latina e Rieti”.
E dal punto di vista finanziario, come procedono le cose? Dal 1998 al 2009 lo Stato ha finanziato nella Regione 204 interventi per la messa in sicurezza di aree a rischio idrogeologico, per un totale di circa 184 milioni di euro, a fronte di richieste per quasi 700 milioni di euro. Mentre nel triennio successivo la Regione ha siglato un accordo di programma con il Ministero dell’Ambiente che ha messo a disposizione ulteriori 120 milioni di euro per la mitigazione del rischio idrogeologico: “Dal monitoraggio effettuato dall’Ispra – continua il presidente – risulta però che nel 2011 i lavori finanziati risultavano conclusi solo nel 48% dei casi”.
E’ necessario dunque invertire la rotta, agire prima anziché attendere che la frana o l’alluvione si materializzino. Ma questo è un percorso virtuoso che richiede anche un deciso cambio di mentalità: “La sensibilità di istituzioni e opinione pubblica verso i rischi geologici oggi è molto bassa. Siamo chiamati dopo eventi sismici, dopo emissioni vulcaniche, dopo alluvioni: dovremmo essere invece i “tecnici del giorno prima”, non quelli interpellati per rincorrere l’emergenza o dare la soluzione tampone. Il costo della prevenzione rispetto a un intervento a posteriori è 10 volte inferiore”. La proposta dell’Ordine dei Geologi del Lazio è quella di tentare di ridurre i livelli di rischio per le popolazioni “non più solo con opere di difesa passiva, ma con programmi organici di interventi che sappiano integrare le difese degli insediamenti esistenti con interventi preventivi non strutturali, come la manutenzione ordinaria dei corsi d’acqua, dei versanti e delle opere esistenti, la delocalizzazione di insediamenti e attività, il potenziamento delle reti di monitoraggio e dei sistemi di pre-allertamento e, soprattutto, la sensibilizzazione e la comunicazione ai cittadini anche in periodo di pace”, conclude Troncarelli.