"Come facilmente prevedibile e abbondantemente preannunciato, la “macchina salva notti” del Csm si è messa in moto nel malcelato tentativo di difendere gli interessi degli operatori e non dei pazienti.
Mi riferisco alla sollevazione scomposta e giurassica nei contenuti della Cgil Fp (che, val bene ricordarlo, nel Dipartimento di Salute Mentale ha circa 1/5 di tutti gli iscritti della sanità), alle varie associazioni da sempre vicine alla sinistra e al consigliere Bigliocchi, ultimo politico in ordine cronologico, che da circa venti anni viene assoldato per perorare una causa sostanzialmente indifendibile, ma che è stata sempre graziata, non per motivi strettamente sanitari, dalle varie amministrazioni della Asl.
Tutto ciò a riprova che il problema del Csm di Rieti scende sempre sul piano politico e poco sanitario, dove l’interesse dei cittadini e dei pazienti fa solo da alibi a ben altri privilegi. Purtroppo però, per questi stoici paladini, i dati reali sull’attività notturna (e non quelli demagogicamente millantati) sono impietosi e rendono conto di un dispendio di risorse economiche e umane assolutamente inutile ed inaccettabile in un momento in cui vengono addirittura chiusi interi ospedali. In aggiunta e senza infierire più di tanto, per capire come l’organizzazione del Csm di Rieti sia sostanzialmente volta all’autoconservazione di certi lussi, basterebbe vedere, ad esempio, come lo straordinario di tutto il comparto del Dsm venga praticamente assorbito gran parte dagli operatori del servizio. È evidente, quindi, che il Csm di Rieti necessita di un bel lavoro di riqualificazione e modernizzazione della propria organizzazione, funzione e di una maggior controllo sul suo operato anche di tipo amministrativo. Guarda caso, l’altra Regione dove è stata progressivamente smobilitata dal 2006 l’apertura notturna dei Csm, è la Campania, dove nella Asl di Napoli 1 gli infermieri hanno lo stipendio più alto d’Italia, gonfiato da straordinari ed indennità notturne per fare, anche lì, 1,5 interventi al mese.
Inoltre, appare alquanto strano, il fatto che nessuno di questi soggetti sopracitati (sindacati, associazioni, politici) abbia, ad esempio, scritto una sola parola quando è stato ridotto il personale infermieristico notturno (da 5 a 4 infermieri) nel pronto soccorso dell’ospedale dalla precedente amministrazione o è stato praticamente dimezzato l’organico dei medici nell’Spdc tanto che ora, anche una semplice assenza per malattia è diventata un problema rilevante per il servizio ospedaliero: evidentemente, all’epoca di queste operazioni, non c’era nessun iscritto da difendere o nessun amico da appoggiare, o non si voleva disturbare la dirigenza amica e magari c’era l’esigenza di portare avanti “il furore ideologico”, quello si, caro alla sinistra, di organizzare il servizio psichiatrico in maniera pseudoterritoriale, ma sempre salvaguardando i lussi di pochi operatori. Anche qui, però, i dati di quella riorganizzazione sono impietosi (aumento di tso, aumento di ricoveri ordinari e ripetuti) e rendono conto del clamoroso fallimento, perché sarebbero dovuti andare esattamente nella direzione opposta.
Per questo, caro Bigliocchi, dati veri alla mano, procedure di buona pratica clinica, ribadiscono la necessità di organizzare il servizio in modo realmente territoriale, moderno, al fine di avere più risorse umane ed economiche per svolgere attività diurna di presa in carico, accoglienza, prevenzione delle crisi, maggiore attività domiciliare, sostegno ai familiari. Lasciare che il Csm di Rieti mantenga l’attuale organizzazione, incardinata sull’urgenza notturna con numeri ridicoli (e peraltro, di competenza istituzionale del 118), significa fare soprattutto l’interesse degli operatori e non dei pazienti perché, comunque, quando le urgenze sono vere il paziente finisce, correttamente, sempre nel pronto soccorso trasportato dal 118. Come mai nelle rosse Emilia Romagna o nell’Umbria, patrie di buona sanità, i Csm chiudono alle ore 20 come in tutto il resto del Lazio? È un problema di lobby e non di ideologie, caro Ciccomartino.
È infatti clamoroso il controsenso e la superficialità con cui proprio la sinistra e i suoi derivati locali, trattano l’argomento perché se da un lato considerano, giustamente, il paziente psichiatrico come un cittadino avente gli stessi diritti degli altri, non si capisce perché poi debba essere stigmatizzato con interventi particolari, diversi dagli altri cittadini malati".