"L'ULTIMO PRESIDENTE" DI OTTORINO PASQUETTI

Fabio Melilli

Spero ardentemente che il presidente Fabio Melilli non finisca nella storia di questa provincia, dopo anni di durissimo lavoro, con il titolo di ultimo presidente, così come Aisin Gioro Pu Yi vi entrò quale ultimo imperatore, in una storia più grande della nostra, quella della Cina, raccontata con la maestria che conosciamo, da Bernardo Bertolucci, nel 1987, in un film superpremiato, che tutti ricorderanno.

Melilli non merita l’affronto che il destino berlusconiano gli riserva: quello di chiudere la serie dei presidenti che l’hanno preceduto, alcuni di alto spessore politico e civico, iniziata con Annibale Marinelli De Marco, che fu prescelto direttamente da Mussolini per avviare le strutture dell’appena neonata provincia sabina, che lui stesso aveva voluto, e che Melilli, come tutti quelli che lo hanno preceduto, ha cercato di migliorare con nuovi progetti, iniziative e realizzazioni, festeggiandone solennemente l’Ottantesimo della fondazione appena quattro anni fa con l’intervento del Presidente del Senato Franco Marini.

Dal momento dell’annuncio della soppressione, assieme alle consorelle confinanti di Terni ed Ascoli Piceno, così da determinare un desertico unicum di poteri istituzionali intermedi dall’Adriatico pressoché al Tirreno, tutti i sabini sono chiamati a riflettere sulla forza sconvolgente dello tsunami che si è abbattuto sulla comunità provinciale, turbandone i sonni per il futuro nerissimo che l’attende, ad iniziare dai suoi giovani.

Deve credersi, meravigliandosene non poco, che il governo che ha deciso, sotto la pressione di alcuni giornalisti di gran nome e di alcuni leader non poco sprovveduti (ma questa non è una novità!), che hanno iniziato la sarabanda, promuovendo l’idea della soppressione delle province per risolvere, come un toccasana, tutti i mali di questa povera Italia, con assoluta certezza non sapeva bene cosa rappresenta quell’ente per una città ed un territorio e per tutti i suoi abitanti.

Deve ritenersi, per essere clementi, che si sia deliberato, beata incoscienza!, senza uno studio approfondito che spiegasse risvolti, esiti e soluzioni di quanto ne sarebbe derivato da quell’atto di soppressione, perché l’art. 15, del decreto legge 13 agosto 2011, stabilisce sotto il titolo Soppressione di Province e dimezzamento dei consiglieri e assessori:

1. In attesa della complessiva revisione della disciplina costituzionale del livello di governo provinciale, a decorrere dalla data di scadenza del mandato amministrativo provinciale in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto, sono soppresse le Province diverse da quelle la cui popolazione rilevata al censimento generale della popolazione del 2011 sia superiore a 300.000 abitanti o la cui superficie complessiva sia superiore a 3.000 chilometri quadrati.

2.Entro il termine fissato al comma 1 per la soppressione delle Province, i Comuni del territorio della circoscrizione delle Province soppresse esercitano l’iniziativa di cui all’articolo 133 della Costituzione al fine di essere aggregati ad un’altra provincia all’interno del territorio regionale, nel rispetto del principio di continuità territoriale. La soppressione delle Province di cui al comma 1 determina (come conseguenza) la soppressione degli uffici territoriali del governo aventi sede nelle province soppresse; con decreto del Ministro dell’interno sono stabilite le modalità di attuazione del presente comma.

Il che significa, in breve, oltre alla decretata fine della provincia e delle sue strutture, l’obbligo fatto a tutti e 73 comuni di essa a scegliere, entro la regione Lazio, a quale provincia contigua aggregarsi: per tutti non restano che Roma e Viterbo, a meno che non si voglia andare con Frosinone o Latina. Il Cicolano e l’Amatriciano, dunque, con Roma e non con L’Aquila?
Il Leonessano non con Perugia, ma con Roma o Viterbo? E Rieti con Roma?

La prospettiva è a dir poco allucinante, meno che per la Bassa Sabina che si ricongiungerebbe alla Sabina romana, tornando ad epoche papaline e poi liberali certo da non augurarsi. Il progetto governativo, più che da politici saggi, sembra sia stato predisposto da alieni.

Passando all’elencazione degli uffici territoriali di governo che se ne vanno, eccoli elencati, sicuramente con qualche dimenticanza: in primo luogo Prefetto e Prefettura, Questore e Questura (con sede appena costruita) insieme a tutti i comandi provinciali delle varie forze di polizia, a partire dai Carabinieri e dalla Guardia di Finanza (con sedi di fresca e bella costruzione), Comando provinciale dei vigili del Fuoco, Agenzia provinciale delle Entrate con catasto, ipoteche, tesoro, ecc., Ufficio provinciale scolastico, Ufficio provinciale del Lavoro, Ufficio provinciale della Motorizzazione, INPS provinciale, Inail provinciale, Camera di Commercio, Industria e Artigianato, declassamento del Tribunale penale e civile con l’aggregazione a Tivoli.

Diventa difficile la sopravvivenza dell’Università per la mancanza di contributi provinciali essenziali da parte di Palazzo Dosi che nel 2000 ne volle l’istituzione, insieme a Comune di Rieti e CCIA e si creerebbero problemi identici per il sostentamento del Conservatorio di Musica e per il Nucleo industriale, essendo la provincia l’organo tra quelli fondatori e tra i maggiori sostenitori sotto i profilo economico.

L’impatto sui dipendenti pubblici impiegati sarà così negativo da non ipotizzarlo nemmeno, configurandosi come un disastro. E’ prevedibile un esodo biblico seguito a trasferimenti di funzionari ed impiegati pubblici, l’abbandono di palazzi ormai divenuti inutili come lo sarebbero le nuove case da costruire per le civili abitazioni di qua e di là per tutto il territorio.

La ricaduta sul commercio è facilmente intuibile con lo spopolamento già decretato dei supermercati, costruiti per un elevato numero di abitanti che non ci sarebbe più. L’impatto psicologico sui cittadini è misurabile in uno choc e nell’angoscia che ne immiserirà ogni iniziativa e ogni progetto, riprecipitando Rieti in quel ghetto di cui alla storica definizione dell’onorevole Lionello Matteucci che nel dopoguerra creò per essa lo slogan di Rieti “povero e degradato borgo agricolo”. Fino ad ora poche sono state le reazioni basate su riflessione e logica da parte delle istituzioni.

La più attrezzata è stata quella dell’ultimo presidente Fabio Melilli che, ovviamente, gli viene dalla sua ricca esperienza e dalla conosciuta idiosincrasia per ogni parlare a vanvera, che per sfuggire giustamente a questo destino crudele e ingrato a cui è stato assoggettato, ha proposto la costituzione di un comitato di coordinamento di tutte le province soppresse per studiare modalità e tempi di reazione. Il secondo, quello del presidente del consiglio comunale Gianni Turina circa la convocazione congiunta del consiglio provinciale e di quello comunale, che servirà davvero, se si sarà capaci di non fare demagogia, evitando le verbosità dei soliti iscritti a parlare.

Da quel che accadrà nei giorni avvenire e dai risultati che ne scaturiranno, si potranno misurare l’impegno, il lavoro, la dedizione e l’amore che coloro che attualmente rappresentano politicamente la provincia di Rieti spenderanno per salvarla, così da non far rimpiangere quelli che invece ne promossero l’istituzione, ignobilmente dimenticati: il principe Lodovico Potenziani, l’avvocato Mario Marcucci, Marinelli de Marco e tutti coloro che, nel periodo fascista, ad essi si unirono, concretizzando una nobile impresa a cui i reatini e i sabini aspiravano da secoli.

Oggi è veramente triste pensare ed è doveroso riflettere, mentre non è ancora valutabile l’impatto che la decisione avrà sul risultato delle prossime elezioni politiche, sul fatto che una dittatura istituì la provincia di Rieti e la democrazia della Repubblica italiana, che questa terra contribuì a costruire con il contributo di duemila morti durante la
guerra di Liberazione, tanto da ottenere per questo, la medaglia d’argento al valore civile, adesso l’ha soppressa, sopprimendo insieme anche un consiglio provinciale, la più alta sede di civile ed essenziale dibattito e confronto democratico della Sabina.

Con un tratto di penna si è cancellata la provincia di Rieti, così come capitalisti e industriali, guardando solo ai denari e ai loro interessi economici, con un tratto di penna decretarono la chiusura dello Zuccherificio, la Nuova Rayon, la Texas e l’Alcatel, determinando l’impoverimento di questo territorio. Ciò provocò un gravissimo danno per il lavoro e per i lavoratori, per il tenore di vita, la cultura e per lo sviluppo di questa Sabina, così come ora tornerà a provocarlo, con maggior forza e definitivamente, il decreto di abolizione della provincia.

All’ultimo presidente e a tutti gli altri, il compito, come a Mosè, di condurre il popolo reatino fuori dall’Egitto, verso la terra promessa di una nuova Sabina.