OMELIA DEL VESCOVO PER LA FESTA DI SANT'ANTONIO

Processione dei ceri

Carissimi fratelli e sorelle,
le settimane intense di festeggiamenti in onore del Santo di Padova sono giunte al momento culminante, con la celebrazione Eucaristica di chiusura e la Processione tradizionale che si svolgerà stasera.

Da quanto possiamo aver percepito tutti, sono stati giorni di preghiera, di confessioni, di predicazioni affidate a vari sacerdoti, come avviene da alcuni anni, che hanno garantito anche una varietà di temi, di sensibilità, di sottolineature, seguendo i testi della liturgia assegnati a ciascun giorno.

Oggi, in questa domenica tredicesima del tempo ordinario, le letture ci suggeriscono di riflettere su alcuni aspetti che caratterizzano la figura di Antonio e che sono anche parte integrante della nostra identità cristiana.

Nel Vangelo abbiamo ascoltato il racconto del passaggio di Gesù attraverso la Samaria, terra abitata da un popolo da tempo non più in sintonia con l’ebraismo ufficiale.

Gesù incontra tre personaggi che restano senza nome: il primo si offre di seguire Gesù, dicendo «ti seguirò ovunque tu vada», il secondo è invitato dallo stesso Gesù, il terzo sembra anche lui offrire la sua vita per il Vangelo, ma a tutti e tre Gesù dice qualcosa che li mette in guardia dalle difficoltà della sequela.

Sembra quasi un po’ scontroso a fronte di persone che desiderano seguirlo, ma a ben vedere egli si comporta come qualunque datore di lavoro che dice a chi chiede di essere assunto: «guarda che questo lavoro non è facile come sembra!».

Al primo, Gesù dice che lui non ha da offrirgli nulla sotto il profilo umano e agli altri due ricorda che perfino le persone care verranno, per importanza, dopo la causa del Vangelo: parole dure, quasi disumane, certamente in contrasto anche con la mentalità del suo tempo.

Nella prima lettura abbiamo ascoltato il racconto della vocazione di Eliseo da parte del profeta Elia; anche Eliseo si vuole prima congedare da quelli di casa, a seguito di un segno che sembra piuttosto curioso, il lancio del mantello di chi lo chiama, gettato sulle spalle.

Sono state avanzate varie spiegazioni per questa immagine: donare il mantello è una sorta di investitura, una elezione, una scelta di chi lo dona perché chi lo riceve divenga il suo successore, un po’ come fece il Papa Paolo VI quando, in visita a Venezia sul finire degli anni ’70, donò la stola pontificia al Patriarca di Venezia, che divenne suo successore, Giovanni Paolo I, Papa Luciani.

Ma il mantello donato può anche indicare una nuova dignità, un nuovo ruolo, una nuova veste. Oppure è il segno della protezione che avrà chi è investito di un nuovo compito.

Qual è il contenuto di questa chiamata, di questa elezione, forse quello di diventare sacerdote o frate, come Antonio di Padova?  Certamente no!

Diventare sacerdote o religioso o religiosa non è il contenuto, ma la forma della sequela, la modalità di risposta ad una chiamata, come essere laici cristiani è la forma di una risposta alla chiamata.

Il contenuto è la «libertà».

Ne abbiamo  sentito parlare nella seconda lettura tratta dall’ epistola ai Gàlati:  «voi siete stati chiamati alla libertà».

Sono in molti a pensare che la vita cristiana sia invece proprio fondata sulla mancanza di libertà: non si può fare questo, non si può fare quest’altro, quello è male, quell’altro è peccato.

È vero, la percezione che si ha della vita cristiana vista dall’esterno è quella di una vita di proibizioni, e ciò ha contribuito ad offuscare il vero senso del cristianesimo, che è vita libera nella fedeltà ad una persona che ha sconvolto la nostra vita: Gesù Cristo, nostro Maestro e Signore.

Vi invito a considerare come la vita di Sant’Antonio non sia altro che la storia della chiamata e della risposta generosa a questa libertà.

Antonio, che si chiamava in verità Fernando, era un giovane che avrebbe potuto scegliere tante strade, perché primogenito di una famiglia benestante, in un periodo storico, il medioevo, in cui – dopo una crisi durata vari secoli – si cominciava ad assaporare un nuovo sviluppo, una nuova ricchezza.

Si ampliarono i commerci, aumentò la popolazione, furono aperte molte università, da parte degli ordini religiosi, ma – come noi ben sappiamo –  quando aumenta il benessere, aumentano anche le tentazioni e il desiderio di fare a meno di precisi riferimenti morali, sia in ambito pubblico che privato, soprattutto la tentazione di fare a meno di Dio.

Perché Antonio fece questa scelta così impegnativa e radicale?

Non poteva seguire l’esempio di tanti giovani come lui, di buona famiglia, curare gli interessi del casato: il padre era un cavaliere del Re, forse discendente di Goffredo di Buglione, non poteva godere felice i frutti del benessere?

Avrebbe potuto, ma non lo fece!

Che cosa lo spinse a fare prima la scelta di entrare nell’ordine degli agostiniani e poi nei francescani: la presunzione, la vanità, il desiderio di diventare famoso o di far carriera?

Queste cose si coltivavano con altre scelte, allora e anche oggi.

Lo spinse a ciò la ricerca della libertà vera, della verità autentica, di una persona viva che è Gesù Cristo, che lo invitò alla sequela, come ai tre personaggi del Vangelo: «Seguimi»!

A molti è capitato di innamorarsi, soprattutto i più giovani hanno un ricordo ancora vivo della prima infatuazione e del primo amore, ma anche chi è più anziano può andare con la memoria a quei momenti di tanti anni fa in cui ha sentito vibrare il proprio cuore per un’altra persona.

Ecco, la vocazione è questo: innamorarsi di una persona e sentire la forza di gridare questo amore a tutti, di farlo conoscere, di comunicare agli altri questa verità e questa libertà.

È una forza misteriosa l’amore, come è misteriosa la vocazione, possiamo indagare, ma non sempre possiamo capire tutto, ne parliamo per analogia, per modi di dire, per simboli, ma non possiamo spiegare tutto, anche se dobbiamo sempre cercare, dire e “fare” la verità, cioè compiere atti in sintonia con la verità.

In uno dei suoi Sermoni il giovane teologo e predicatore Antonio, scrive:

«La verità genera odio; per questo alcuni, per non incorrere nell’odio degli ascoltatori, velano la bocca con il manto del silenzio. Se predicassero la verità, come verità stessa esige e la divina Scrittura apertamente impone, essi incorrerebbero nell’odio delle persone mondane, che finirebbero per estrometterli dai loro ambienti. Ma siccome camminano secondo la mentalità dei mondani, temono di scandalizzarli, mentre non si deve mai venir meno alla verità, neppure a costo di scandalo».

Ci sembra un discorso lontano ottocento anni?

Ci sembra poco attuale?

Il cristiano non ha paura della verità, detta con garbo, illustrata con pazienza, ma mai sottaciuta, mai manipolata.

Mi sento di proporre a tutti una svolta, se così possiamo dire, che cominci da quest’anno e prosegua negli anni a venire, proprio a motivo di quella verità di cui parla il nostro Santo, senza che il Vescovo “veli la bocca con il manto del silenzio”.

Questo Santo è una ricchezza, non solo per la nostra Città o per la Città di Padova, alla quale in certo senso siamo legati, proprio grazie a Sant’Antonio; è una ricchezza per tutta la Chiesa, tanto che è venerato in ogni parte della terra.

Non solo nel mese di giugno, ma anche nel resto dell’anno dovremmo cercare di approfondire di più la sua figura, anche sotto il profilo storico e teologico.

Recentemente anche la RAI ha prodotto un film storico proprio su di lui, a significare l’interesse che ancora suscita in tanti, non solo anziani ma anche giovani.
Conoscere questo imitatore di Cristo, perché i Santi non sono altro che imitatori di Gesù, significa suscitare l’interesse di tanti giovani, di tante persone che possono essere arricchite dai suoi insegnamenti e dal suo esempio, chiamati alla sua stessa generosità.

Voi sapete che Antonio ottenne che i condannati per debiti non dovessero essere più incarcerati, soprattutto se poveri e diseredati, e sapete anche che lottò con decisione contro gli usurai.
Questo ci dice quanto il cristianesimo non sia pura teoria o solo religione dogmatica, ma vita vissuta nella libertà e nella verità, in risposta a qualcuno che ci ha chiamato ad una vita di amore autentico verso Dio e verso il prossimo.

Ecco allora che mi sento di proporre a tutti, in particolare alla Pia Unione, che ringrazio per l’opera generosa e impegnativa che svolge non solo durante il mese di giugno ma durante tutto l’anno, di istituire un fondo per l’aiuto alle persone bisognose, trovando il modo più opportuno, incisivo, pubblico e trasparente che si possa congegnare.

Abbiamo sentito nel Vangelo che Gesù disse ad uno dei suoi interlocutori una frase che è rimasta famosa: «il Figlio dell’Uomo non ha dove posare il capo», ad indicare che la vita cristiana, anzi l’apostolato cristiano, non danno riposo, ma anche che sono segnati dalla povertà, proprio come fece Sant’Antonio, seguendo la regola e l’esempio di San Francesco.

Ecco qui la mia proposta, che non vorrei suscitasse apprensione, preoccupazione o reazioni che non ha lo scopo di provocare.

È una proposta che valuteranno  i responsabili e i membri della Pia Unione, ma è un sogno del Vescovo ormai da tredici anni.

Proprio per rispettare la povertà di Sant’Antonio, propongo di custodire gli ori e le catene preziose che porta sull’abito in apposite bacheche, perché torni ad essere ben visibile la sua veste nera da francescano conventuale.

Tante persone hanno offerto questi ori e noi rispettiamo la  loro volontà, però dobbiamo rispettare anche lo stile e il messaggio del Santo.

Spero che questo auspicio trovi il favore non di tanti, ma di tutti, all’unanimità.

Auguriamoci tutti di poter imitare il Santo di Padova più amato nel mondo, almeno in qualche sua virtù, per essere più vicini a Cristo ed essere suoi messaggeri; così ci ha detto il Vangelo: «Gesù mandò messaggeri davanti a sé».