IL PORTAVOCE DELLA DIOCESI SUL CROCIFISSO IN AULA

Crocifisso in aulaSta suscitando un ampio dibattito la sentenza della Corte di Giustizia dell’ Unione Europea relativa alla presenza del Crocifisso nelle aule scolastiche dello Stato italiano.
L’Ufficio delle Comunicazioni Sociali della Diocesi di Rieti interviene nel dibattito proponendo alcune riflessioni all’opinione pubblica reatina.
Intanto è necessario constatare con una certa amarezza che nella quasi totalità delle scuole reatine, e di buona parte dell’Italia, il Crocifisso è scomparso da tempo, nonostante vi sia un certo legame della nostra gente con i simboli della religione e della tradizione cristiana; quindi si ha la sensazione che si stia lottando su princìpi astratti, mentre, di fatto, il problema sembra non porsi più.

La sentenza, emessa da giudici che notoriamente hanno una esplicita collocazione ideologica, manifestamente contraria alla cultura e alla religione cristiana, sembra partire dall’assunto che le religioni sono tutte eguali di fronte alla legge. Ciò è vero, ma è a tutti noto che questo riguarda la dignità delle religioni, la libertà di culto e di proselitismo, ma non si possono trattare situazioni diverse in modo eguale. Il contributo del cattolicesimo alla formazione del patrimonio culturale del popolo italiano sovrasta ogni altra esperienza religiosa pur rispettabile e degna.

Sembra anche che l’esposizione del Crocifisso sia contraria alla libertà di educazione religiosa delle famiglie, come se fosse un’imposizione ad abbracciare una fede religiosa.
La persona e l’opera di Gesù Cristo sono oggetto di studio, di apprezzamento e perfino di venerazione in quasi tutte le religioni non cristiane, e la sua condanna a morte, a una morte ingiusta e ignominiosa, suscita in credenti e non credenti riflessioni e sentimenti che oltrepassano ogni esperienza religiosa e ogni ideologia.
Il Crocifisso nei tribunali è segno di una sentenza ingiusta, che riunisce in sé tutte le ingiustizie della storia, ed è monito per gli operatori della giustizia, perché adempiano con avvedutezza e prudenza alla grave funzione di giudicare.
Il Crocifisso nei luoghi di cura, come segno di speranza e di condivisione del dolore umano, rappresenta la possibilità di superare le sofferenze e dare ad esse un significato più alto.
Il Crocifisso nelle scuole ricorda a tutti che il patrimonio storico-culturale del popolo italiano è totalmente pervaso di cristianesimo, anche, paradossalmente, quando il Crocifisso è stato ingiustamente strumentalizzato per giustificare atti di violenza e di sopruso.
Anche per i Giudici della Unione Europea, inoltre, vale il princìpio di essere soggetti solo alla legge e, nel caso, non vi sono leggi esplicite che impediscano l’esposizione di tale simbolo nelle scuole e negli Uffici pubblici del Crocifisso.

Se tale discutibile principio dovesse essere accolto potrebbe essere considerato lesivo della libertà di educazione in materia religiosa anche lo studio della Divina Commedia o della Storia dell’Arte, come pure la collocazione di Croci su edifici visibili dal pubblico (Chiese e campanili).
Ci si augura che i ricorsi che saranno presentati vengano accolti, per ragioni di ordine giuridico, logico e politico e che i Paesi appartenenti alla Unione Europea siano lasciati liberi di legiferare in tal senso e conservare usi e tradizioni secondo il sentire comune dei cittadini.

In caso contrario, se l’opera di demolizione di una precisa e ricca tradizione come quella cristiano-cattolica dovesse proseguire, dovrebbe essere posta in discussione la stessa partecipazione dell’Italia ad una Unione Europea come quella che si va costruendo.
Per ora, hanno votato di nuovo Barabba!