A Rieti e a Greccio la mostra su Pier Giorgio Frassati, prossimo santo

Arriva nella diocesi reatina la mostra dell’AC nazionale dedicata al beato Pier Giorgio Frassati. La mostra – realizzata, con la revisione e l’arricchimento curato dalla Chiesa di Torino, in occasione del centenario della morte del beato lo scorso anno – propone, in una ventina di pannelli, un quadro della vita e dell’esperienza spirituale del giovane torinese, morto nel 1925 a soli 24 anni di età. Una figura, quella di di Frassati, segnata da una forte esperienza di fede e di carità, legata all’Azione Cattolica e alla Fuci, che l’associazione intende mettere in luce in vista della canonizzazione, inizialmente prevista durante il Giubileo dei giovani e che papa Leone XIV ha poi spostato a settembre, nella cerimonia che vedrà proclamarlo santo assieme a Carlo Acutis.

A Rieti la mostra sarà esposta sotto gli archi di Palazzo Papale, in via Cintia, con inaugurazione venerdì 4 luglio alle 19 e si potrà visitare nelle ore serali e in tutta la giornata di sabato. Domenica 6 sarà trasferita a Greccio, nella chiesa parrocchiale di San Michele Arcangelo, al centro storico del borgo, con il patrocinio della locale Amministrazione comunale e la collaborazione delle associazioni del luogo: l’appuntamento, domenica mattina, sarà alle ore 10 con la Messa domenicale, con la partecipazione dell’AC diocesana e parrocchiale, celebrata dal vescovo mons. Vito Piccinonna.

Frassati: in un mondo che corre lui si fermava per amare

In un mondo che corre, lui si fermava per amare, in un mondo dove si misura tutto in like, successo, potere, immagini, lui scelse il servire, perché aveva capito la formula per rendere piena la propria vita, la vera grandezza è servire, la felicità più autentica è nel donarsi, la fede diventa così un motore inesauribile per cambiare il mondo. Era un giovane che aveva tutto, appartenente ad una delle famiglie più ricche e affermate della Torino del primo Novecento: il padre, ambasciatore a Berlino e fondatore de “La Stampa”, la madre, donna con una raffinata cultura e pittrice apprezzata. Pier Giorgio cresce in un ambiente colto ma spiritualmente lontano da una fede convinta, eppure fin da adolescente sviluppa una fede profonda, vissuta con entusiasmo e concretezza, e uno stile di vita umile. Pier Giorgio poteva avere molto, ma scelse di dare tutto.

Era un ragazzo come tanti altri: studente di ingegneria mineraria, sognava di contribuire con i suoi studi a migliorare la vita dei minatori. Era un gran compagnone, tanto da fondare i cosiddetti “Tipi loschi”, un affiatato gruppo di amici. Amava la montagna, ma guardava ancora più in alto: il suo “Verso l’alto”, era chiaramente un invito a superare le vette delle montagne e raggiungere quelle della santità. Sapeva divertirsi, ma si interessava anche di politica, tanto da partecipare alle manifestazioni a difesa della libertà e della democrazia, scelse di vivere la vita coerentemente con la propria fede, senza ipocrisie, senza sconti. Fede e vita non furono mai per lui due binari diversi, ma sempre un’unica esperienza, una sintesi senza ripensamenti, vivendo come se ogni giorno fosse eterno, sperando di poter avere giorni più lunghi di ventiquattr’ore, per fare di più, per fare meglio, per arrivare a tutti. Aiutava senza clamore, donava il proprio cappotto, spingeva carretti con le cose per i poveri, dava tutto, rimanendo senza soldi per il tram, apriva la propria casa ai più deboli e sapeva farsi valere in modo deciso contro chi offendeva e aggrediva. Non era certo un timido.

Nato il 6 aprile 1901, muore a Torino il 4 luglio 1925, a ventiquattro anni, colpito da una poliomielite fulminante, probabilmente contratta durante una visita ai malati. Due giorni prima della morte, scrive l’ultimo biglietto per aiutare un povero. Un esempio fulgido che esprime come, anche se breve, la vita può diventare uno strumento umile ma efficace nelle mani di Dio. La sua carità era concreta, non parole, non passerelle, tanto che solo alla sua morte, vedendo le centinaia di persone presenti al suo funerale, tutti capirono chi era veramente quel giovanotto aitante e sempre allegro. Un vero amante di Dio, un servitore dei fratelli, un giovane che cercava di dare spazio a Dio e formarsi in modo da mettere in atto le beatitudini evangeliche («l’uomo delle otto beatitudini» lo ha definito san Giovanni Paolo II, che lo ha beatificato).

Ma di tutto più grande è stata la sua carità: Pier Giorgio ha vissuto in modo straordinario una vita che solo apparentemente sembrava ordinaria, era una vita piena d’amore, non ha quindi fondato congregazioni, scritto opere memorabili, non è morto martire, ma ha amato, senza rumori, nel silenzio operoso. Portava sempre il Rosario in tasca, partecipava ogni giorno alla Messa e diceva che “la carità non basta sentirla, bisogna viverla”.

Frequentare i Gesuiti, dopo una bocciatura in latino, lo apre alla comunione quotidiana e si avvicina alla spiritualità ignaziana; entra nel Terz’Ordine Domenicano nel 1922, assumendo il nome di fra Girolamo, in onore di Savonarola; farà parte dell’Azione Cattolica, della FUCI (il ramo universitario dell’AC) e della Società San Vincenzo de’ Paoli. Pier Giorgio Frassati è stato un laico, non un sacerdote; un giovane, non un adulto con esperienza e preparazione; è stato un “tipo” normale, ma aveva una fede gioiosa che sapeva trasmettere con entusiasmo e vivere la vera amicizia, cercava Dio nel quotidiano, nello studio, nel lavoro, nelle risate, nel servizio all’altro. Un giovane che insegna che la santità è possibile, con gli scarponi ai piedi per scalare le vette della santità laicale, e con il Vangelo in tasca, corda, moschettoni e piccozza.