L’incidente mortale presso la cava di travertino di Poggio Moiano, dove oggi è morto, schiacciato da una lastra di marmo un operaio di 61 anni, che da 16 lavorava presso l’impianto di estrazione, riaccende il dibattito sulla sicurezza nei luoghi di lavoro.
Alla luce degli incidenti, degli infortuni e, purtroppo, dei numerosi episodi mortali che ogni anno siamo costretti a raccontare, viene senz’altro spontaneo dire che, in termini di sicurezza sui luoghi di lavoro si fa ancora troppo poco, che ancora troppo è lasciato all’improvvisazione delle imprese, che i controlli sono insufficienti, inefficaci e spesso eccessivamente formali e poco sostanziali.
Dal canto loro le imprese che si sono adeguate alla normativa, lo hanno fatto in maniera scolastica e non nella convinzione che le procedure previste dal famoso decreto 81 se assimilate con una giusta presa di coscienza e con il giusto senso di responsabilità, possono concretamente salvare la propria vita, o quella di un collega di lavoro, o prevenire infortuni che a volte lasciano in eredità danni e menomazioni permanenti.
Ancora troppo spesso si è costretti a raccontare di operai edili precipitati da un ponteggio, o di operatori schiacciati dal mezzo che stavano manovrando, o di metalmeccanici che subiscono una menomazione a causa del mancato utilizzo dei dispositivi di sicurezza personale o dell’uso non corretto o non in sicurezza di un macchinario.
E’ pur vero che l’Inail, anticipando i dati consuntivi per l’anno 2012, prevede un calo del 9% degli infortuni (sono stati 726mila nel 2011) e degli stessi incidenti mortali che dovrebbero diminuire del 3%.Ma è ancora poco alla luce delle continue brutte notizie che arrivano da fabbriche e cantieri
Le denunce di infortunio pervenute all’Inail dovrebbero attestarsi a quota 654mila e gli incidenti mortali dovrebbero segnare il triste conto di 870 unità contro le 893 denunce del 2011. Ma non bisogna dimenticare che il dato va necessariamente letto alla luce della crisi economica che ha portato alla chiusura di molte attività, al fermo di molte imprese, soprattutto edili ed artigiane, al licenziamento di numerosi addetti ed all’aumento della disoccupazione e delle ore di cassa integrazione e mobilità..
L’Inail e le associazioni di rappresentanza delle imprese sono senza dubbio tra i soggetti che più si stanno adoperando per tentare di trasferire ad imprenditori e lavoratori la giusta consapevolezza e la corretta cultura della sicurezza. L’Inail, tra l’altro, già da due anni, ha attivato un bando che consente alle imprese di ricevere un sostengo finanziario ( pari al 50% a fondo perduto dell’investimento totale) finalizzato alla sostituzione dei macchinari e delle attrezzature presenti in azienda con delle nuove strumentazioni, migliori dal punto di vista della sicurezza.
Le associazioni di categoria, dal canto loro hanno provveduto ad organizzare seminari, convegni, corsi e provvedono ad adeguare le competenze di imprenditori e lavoratori e a formare le figure obbligatorie previste dalla normativa vigente.
Nonostante ciò, le imprese, almeno quelle che sono al corrente degli obblighi che la normativa impone, tendono a rinviare gli adempimenti. La crisi morde ogni giorno di più, e spesso, l’imprenditore, sbagliando, accetta di rischiare sulla propria pelle e su quella dei suoi collaboratori, perché impossibilitato ad investire risorse sufficienti in dispositivi di protezione o in nuovi macchinari, o perché una commessa è stata acquisita con un ribasso eccessivo e non ci sono abbastanza soldi per lavorare in sicurezza.
Spesso, anche nei confronti della formazione obbligatoria prevista dal decreto 81 l’approccio delle imprese è quello di dover assolvere ad un mero adempimento, una qualcosa di teorico del quale non si percepisce fino in fondo l’importanza e portato a termine esclusivamente per adeguarsi alla legge.
E anche in questo caso, come spesso accade, la formazione sembra concedere maggiori benefici a chi la eroga piuttosto che a chi la riceve.
I corsi per la formazione degli addetti alla sicurezza sui luoghi di lavoro, o di responsabile della sicurezza dei lavoratori, figure obbligatorie previste per le imprese con dipendenti, non riescono a trasmettere quella cultura della sicurezza della quale sarebbe necessario essere in possesso per poter invertire veramente la tendenza degli incidenti sui luoghi di lavoro.
Una cultura d’impresa che veda nella tutela degli imprenditori e dei dipendenti non solo la salvaguardia della loro salute e della loro sicurezza ma anche, ad esempio, un miglioramento dell’organizzazione aziendale, dei processi produttivi o una riduzione dei costi di produzione, contribuirebbe senza dubbio a creare imprese più competitive.
Redigere un piano di valutazione rischi e comprenderlo fino in fondo ad esempio, significherebbe non solo per il datore di lavoro percepire la totalità dei possibili infortuni che si potrebbero presentare nella propria azienda o in un cantiere, ma contribuirebbe a gestire i processi produttivi con una organizzazione delle risorse umane e dei processi sicuramente più efficienti ed efficaci.
La sicurezza sul lavoro deve necessariamente diventare la cornice all’interno della quale si armonizzano tutti i fattori produttivi.
Le istituzioni e le organizzazioni di rappresentanza dovranno lavorare, velocemente e concretamente, affinché si arrivi ad una regolamentazione globale del dumping produttivo, ad una armonizzazione, almeno a livello europeo, dei pesi relativi ai costi accessori del lavoro (previdenziali ed assicurativi), ad una defiscalizzazione degli interventi migliorativi della sicurezza dei luoghi di lavoro. Ciò affinché le nostre imprese possano tornare competitive e si possa guardare alla sicurezza come un fattore necessario e non come un gravoso adempimento.