Non ho mai creduto che tutto potesse finire così, e ripenso alla “me bambina” che guardavo il film dei Pokemon sul lettone dei miei, quando lo sentii tremare, e restai ferma qualche secondo.
In quell’arco minuscolo di tempo una casa stava crollando a L’Aquila, qualche bambino aveva iniziato a piangere, o qualcuno che aveva già perso tutto dimenticò per un attimo di respirare.
Ora mi immagino la triste scena, di una bambina che gioca all’aperto, saltando qua e là, sulle stesse pozzanghere che i genitori le avevano intimato di non pestare, eppure va. E durante un suo balzo crolla una città, Amatrice.
Eppure la bambina non smette di saltare, e tutto intorno a lei continua a muoversi, eppure c’è un silenzio assordante. Lo stesso silenzio della notte che la gente ha passato in macchina, per le strade, animato solo dai sussurri della radio che parlava degli ultimi avvenimenti.
Per paura o perché si ha perso il tetto, siamo tutti costretti a guardare lo stesso cielo. E c’è qualcuno che soffre, che ammira la tua stessa stella, e chiede aiuto.
E quando la terra inizia a scuotersi, mentre cerca di ribellarsi a qualcosa che non riesce a spiegarci, crea dolore e terrore, ci fa battere il cuore al ritmo dei passi sulle scale della gente che trema.
E qui muore ognuno di noi, e dà la colpa a Dio, ma basti pensare che nello stesso tempo egli permette a persone malvagie di compiere opere malvagie, e con quale superbia la grandezza di Dio può essere concepita dalle nostre piccole menti? E poi, caro Dio, magari questo dolore un giorno me lo spiegherai.
Poi ognuno la pensa come vuole, perché siamo diversi, siamo umani.
Tutti corriamo verso lo stesso destino, chi senza aspirazioni e chi vuole arrivare in Paradiso. Però adesso bisogna stare fermi, e respirare, e poi fare come la bambina che salta nelle pozzanghere.
Vivere ormai è diventato scontato, e per alcuni persino futile. Ma la vita è preziosa, e non è scontato come sembra.
Mentre la sofferenza ci corrode pensiamo che la felicità sia lontana da noi, ma ci cerca, disperatamente, ci rincorre tra le vie più buie e noi corriamo, corriamo come ossessi, sperando di fuggire dal dolore percorrendo la stessa strada, non capendo che basta fermarsi e darsi coraggio.
Cambiare direzione, puntare in alto, respirare a pieni polmoni e poi dirsi che è giunto il momento di ricominciare.
Ricominciare a sorridere, e concedere la gioia anche agli stessi che vivevano con te nel tunnel, che neanche hai guardato, ma erano lì, e non si fermano.
Perché c’è chi non riesce ad uscirne, chi è diventato succube del proprio pianto, ed è solo.
L’uomo ha bisogno d’aiuto, e tu sii abbastanza uomo da tendere la mano.
Maddalena Rosati