Crollo ponte Morandi a Genova, problematiche e proposte sulla sicurezza delle infrastrutture

“Il tema della prevenzione ha indotto poi il Consiglio Nazionale Ingegneri, tra l’altro, ad organizzare una campagna (detta “Diamoci una scossa”), per promuovere gli interventi di riduzione del rischio sismico sul costruito, insieme al Consiglio Nazionale Architetti ed a Fondazione Inarcassa, ormai in avanzato stato, le cui iniziative su tutto il territorio nazionale partiranno nel prossimo mese di settembre.

Attività che vedranno protagonisti gli Ordini Provinciali ed i tantissimi colleghi che saranno impegnati nelle visite sugli edifici, in base alle richieste dei cittadini.

Ma anche l’iniziativa, sempre prevista per il prossimo mese, sul tema degli interventi, oltre che della prevenzione del rischio sismico, dell’adeguamento dei fabbricati sul risparmio energetico, organizzato insieme ad Ance ed altri enti compresi nella filiera delle costruzioni.

Il dibattito sulla qualità del progetto di Riccardo Morandi come di altre infrastrutture appare, quindi, oggi, marginale e poco influente rispetto alle problematiche più ampie poste dal crollo.

Molte delle infrastrutture presenti nel nostro territorio come in tutta italia sono state realizzate alla fine degli anni ’60 in pieno boom economico. La considerazione tecnica che si deve fare è che queste sono state realizzate solo dopo poco più di 50 anni dalla costruzione del primo ponte in cemento armato e a meno di cento anni dai primi utilizzi sperimentali di questo nuovo materiale nelle costruzioni.

Da allora molte cose sono cambiate. I carichi sui ponti, le normative tecniche ed amministrative, i volumi di traffico, le conoscenze sul degrado dei materiali e, in particolare, del cemento armato.

La tipologia innovativa del ponte Morandi ad esempio riguardava la concezione dello schema e la costruzione dei tiranti, con l’utilizzo del cemento armato precompresso; certo, da quell’epoca, gli studi sulla resistenza del c.a., in particolare sugli effetti della viscosità del calcestruzzo, come quelli sulla fatica e sugli effetti ambientali nel degrado dei materiali, hanno fatto passi enormi insieme alla tecnologia ed alle produzioni di componenti innovativi.

Certo, le indagini della magistratura ed i conseguenti risultati ci consentiranno un ulteriore passo avanti nella conoscenza scientifica e nella cultura tecnica, per studiare rimedi e soluzioni, da utilizzare negli interventi successivi.

Ma non possiamo non pensare oggi alla necessità di interventi urgenti, immediati.

D’altra parte, i numeri delle infrastrutture lineari di trasporto, relativamente alle reti autostradali, sono molto importanti, con 1.608 ponti e viadotti per una lunghezza di 1.013 km su un totale di circa 6.000 km di rete.

Ma nel complesso sono circa 61 mila i ponti e viadotti lungo i 255.000 km totali che compongono la rete stradale italiana fatta da autostrade, strade statali, regionali, provinciali e comunali per una lunghezza complessiva di 38.000 km.

Dati molto importanti, segnale delle problematicità poste dalla complessità dell’orografia del nostro Paese, che richiedono di dare organicità e sistematicità alle proposte già avanzate da più soggetti sul tema della manutenzione, aggiornandole e rendendole sempre più attuali.

Ma non c’è dubbio che gli ingegneri italiani, che hanno conoscenze e competenze adeguate alla complessità del problema, devono esprimere le loro proposte nel dibattito sulla qualità e sicurezza del costruito.

A livello nazionale, come categoria professionale, intendiamo avanzare alcune proposte che dovranno vedere coinvolte, per il loro sostegno, l’intera comunità degli ingegneri, a partire dal mondo ordinistico e delle sue rappresentanze territoriali.

La necessità di un piano nazionale pluriennale di verifica delle infrastrutture, con un’anagrafe delle opere d’arte importanti ed a rischio e delle condizioni di sicurezza, basata su dati messi a disposizione dagli enti proprietari/concessionari, verificati, con metodi scientifici, da un soggetto indipendente, non è più rinviabile e deve divenire impegno condiviso e sottoscritto da governo e parlamento nella sua interezza. L’analisi attenta e mirata dei dati acquisiti consentirà di individuare strategie, metodologia e priorità di intervento; ed anche un’ottimizzazione dei costi.

La gestione ed il coordinamento di questo piano devono essere posti in una specifica struttura dello Stato allo scopo dedicata ed operante in stretto accordo con i ministeri competenti che devono esserne l’anima, ponendo fine ad inutili e dannosi antagonismi che, a volte, sono emersi nello schema di ruoli e competenze.

E le rappresentanze delle professioni tecniche, gli ingegneri in particolare, dovranno avere un ruolo importante all’interno di questo organismo.

Il piano di manutenzione, obbligatorio ormai a corredo del progetto esecutivo, deve essere redatto da soggetti competenti e deve essere aggiornato sulla base delle conoscenze diagnostiche ripetute, dell’avanzamento delle ricerche scientifiche, delle conoscenze, delle tecnologie.

E questo deve valere ovviamente per le opere esistenti. Ma tutto ciò non basta.

Gli ingegneri si impegneranno concretamente affinché il paese torni ad investire nel suo futuro, cominciando a dare il senso che si deve a parole come restauro, conservazione, consolidamento e quindi, avendone la capacità politica, oltre che tecnica, di consentire di decidere, senza pregiudizi, sulla scorta anche di analisi specifiche sui costi di ricostruzione, la realizzazione di nuove infrastrutture in sostituzione di quelle non convenientemente riparabili. Per questo proporremo la scrittura di un protocollo tra il mondo scientifico, quello tecnico-professionale e quello tecnico-amministrativo del servizio tecnico centrale – MIT- Consulp, che definisca linee guida di riferimento in proposito.

Ci appare indispensabile definire, per gli interventi di manutenzione, procedure semplificate sia dell’affidamento dei servizi che delle forniture e dei lavori, puntando su conoscenze, competenze, tecnologie. In tale ottica il Codice dovrà essere riscritto per tutte quelle parti in cui ridondanza di procedure, linee di indirizzo, decreti, hanno finito per appesantire e complicare i lavori degli organi periferici dello Stato puntando, nella cornice generale della centralità dell’attività di progettazione, ad una maggiore armonizzazione e sinergia tra gli attori del processo edilizio.

Sono certamente da evitare posizioni che creino allarme sulla sicurezza della viabilità nel Paese, che, in ogni caso ha, pur con difficoltà di finanziamenti e complicazioni burocratiche, livelli di controllo da migliorare ma sostanzialmente attendibili.

Dare avvio ad un progetto generale delle infrastrutture in Italia, che rilanci fortemente l’economia e superi il gap con il resto d’Europa e tra le aree del Paese (in particolare il Sud) deve divenire una priorità nazionale insieme ad una rilettura delle carte dei servizi dei concessionari ed ad una trasparenza della loro azione e del loro ruolo.

Più ingegneria e più ingegneri.

E’ davvero necessario, finalmente, utilizzare nel nostro Paese i tantissimi ingegneri, anche quelli che oggi emigrano all’estero, apprezzati per le loro competenze nella progettazione di opere infrastrutturali e che non possono esercitare la loro professione in questo Paese che ha rinunciato ad investire sulle infrastrutture, con gravi ripercussioni sulla nostra economia.

È evidente, inoltre, la gravissima carenza di tecnici, in particolare ingegneri, nella pubblica amministrazione e, spesso, anche nei soggetti concessionari.

Utilizzarli nelle pubbliche amministrazioni, negli organi di pianificazione e controllo, nelle concessionarie; dare ai professionisti ed alle loro organizzazioni professionali orizzonti legislativi, economici e finanziari, perché possano crescere, divenire sempre più multi ed interdisciplinari, e competere con la complessità dei temi in campo”.

Il Presidente dell’Ordine Ingegneri di Rieti, Ing. Vitaliano PASCASI.