Il caso emblematico di Campo reatino

Il convegno tenutosi a Rieti sugli scavi di Campo Reatino, dal titolo “ L’Area Funeraria di Campo Reatino” – Comunità antiche ai margini della palude velina – ha sollevato dei legittimi interrogativi su quali popoli avessero realmente abitato, oltre ai sabini, il sito della conca del Velino.
Innanzitutto un sentito ringraziamento al Rotary di Rieti, che ha consentito l’organizzazione del Convegno.
L’intento era di riuscire a capire l’origine della civiltà Sabina, alla luce dei ritrovamenti effettuati nei cinque anni di campagne di scavo da parte dell’Università di Roma “La Sapienza”.
Le evidenze sabine nel sito indagato di Campo Reatino sembrano fermarsi al V secolo a.C..
Le risultanze archeologiche mostrate nelle numerose slide offrono una chiara lettura di quanto rinvenuto nell’area funeraria Sabina e Romana.
Appare lontana la verità, sull’origine dei Sabini, pochi gli elementi archeologici rinvenuti, per determinare se il sito funerario “ab origine” fosse stato degli aborigeni, dei sabini, degli umbri o degli osci.
Il campo d’indagine, distrutto da molteplici scassi e lavori agricoli, per oltre un secolo, oltre quelli edilizi per la costruzione del famoso pozzo ( uno scarico di acque piovane ?) non consente più di effettuare una precisa indagine archeologica.
Il costruzione del pozzo, sembrerebbe risalire all’anno 290 a.C. ovvero all’epoca di Marco Curio Dentato cui si deve la bonifica del Lago Velino e successivamente la centuriazione della conca del Velino come precedentemente realizzata nella piana di Leonessa in direzione di Chiavano e Terzone.
Durante il convegno sono state mostrate le immagini di reperti particolari, un rasoio lunato in bronzo, depositato all’interno di una tomba, non sabina, ma appartenente alla cultura Tirrenica, dell’età del ferro ( secolo IX a.C.).
La stratigrafia mostrata nelle slide, evidenzia che la base travertinosa del sito indagato è inclinata verso il bacino dell’antico lago Velino, in direzione Nord-Est Nord-Ovest, questa situazione geologica non è a favore dell’esistenza di un antico villaggio in loco, ma si può solo ipotizzare che i reperti fittili sabini a vernice nera, ed un frammento attico a vernice nera opaca con parti ingubbiate in rosa (dove è rappresentato un personaggio con barba e cappello) di origine Apula, materiali che possono provenire solo dal pianoro soprastante sconvolto anche dai più recenti insediamenti abitativi.
Il terreno e quanto in esso contenuto è stato, sicuramente, trasportato più a valle dal dilavamento naturale delle piogge e dai movimenti tellurici terrestri, in un arco di tempo che copre oltre 1000 anni, è dunque, impossibile poter esprimere una teoria sull’esistenza di un antico villaggio nel luogo indagato.
I villaggi, al tempo, venivano costruiti, infatti, in piano e mai in parti scoscese del terreno, ancorando i pali delle capanne, dentro fori creati appositamente, su una base solida di tufo o di travertino, sul Palatino è così che appaiono i resti degli antichi villaggi.
La situazione che trovo interessante e che lascia riflettere, è che tutta l’area del pozzo è delimitata da un enorme cerchio, messo in evidenza dai recenti scavi, all’interno del quale, sono state trovate sepolture infantili, in una delle quali, un infante con il cranio sfondato.
Culti sacrificali? A quale divinità?
Le campagne di scavo a Campo Reatino sono terminate, è forse ora di lavorare su siti più importanti? L’antica città dei Pelasgi di colle Lesta sembra, non interessare, ma risulta la prima città dei Sabini e potrebbe fornire delle risposte a tanti quesiti posti nel tempo.
Di Roberto Iacoboni