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lunedì 15 Settembre 2025
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Aborigeni e Pelasgi in Sabina. Ce ne parla l’archeologo Christian Mauri

Dionigi di Alicarnasso ci informa che in un’epoca molto antica, assimilabile oggi all’età del Bronzo, la Sabina era abitata da un popolo di origine autoctona, gli Aborigeni, molto tempo prima dell’arrivo dei Sabini. Sempre lo stesso Dionigi (“Le antichità romane”, I, 9 e 17-19) riferisce che nella fase finale dell’età del Bronzo (XII secolo a.C.) l’antico popolo degli Aborigeni accolse benevolmente in Sabina i Pelasgi, provenienti dal Mar Egeo e dovuti emigrare nel Lazio. I Pelasgi, costretti a lasciare la propria patria, consultarono l’oracolo di Dodona (in Grecia), il quale rispose loro di affrettarsi a raggiungere la città degli Aborigeni chiamata Cotilia, dove galleggia un’isola e di unirsi con quelle popolazioni. Proseguendo il racconto Dionigi ci riferisce che gli Aborigeni concessero ai Pelasgi alcune terre paludose dell’agro reatino e si fusero con quelle popolazioni. Gli Aborigeni ed i Pelasgi, alleati anche militarmente, intrapresero alcune spedizioni militari che li portarono alla conquista di alcune città, tra cui Cortona e Cerveteri.

I bronzi egei rinvenuti nei ripostigli di Piediluco e Contigliano, a ridosso dell’antico Lago Velino, costituiscono la prova archeologica a riguardo della presenza di queste popolazioni pelasgiche in Sabina in questo periodo. In particolare il ripostiglio di Contigliano ha restituito i frammenti bronzei di un tripode, di una ruota e di un calderone, tutti databili tra il XII e l’XI secolo a.C. È stato dimostrato che si tratta di oggetti di origine egea (e più precisamente cipriota), giunti nella costa tirrenica come lussuosi oggetti esotici ed in seguito, sotto forma di rottami, riutilizzati probabilmente per essere rifusi. Il ripostiglio di Piediluco invece, i cui reperti oggi si conservano al Museo Pigorini di Roma, è costituito da coltelli, spade, asce, morsi equini, falci ed alcuni frammenti di origine cipriota. Sembra trattarsi di tesoretti, interrati nel IX secolo a.C. per il timore di una minaccia e non più recuperati (forse a causa delle invasioni dei Sabini). Gli oggetti in bronzo rotti e non più utilizzabili vennero verosimilmente raccolti per essere rifusi. La presenza di oggetti quali spade, asce, lance e morsi equini suggeriscono l’esistenza di uomini armati che si spostavano a cavallo, verosimilmente appartenenti al un ceto sociale preminente.

È probabile che in questo periodo i Pelasgi abbiano importato in Sabina anche alcuni toponimi, da costoro introdotti nella toponomastica locale. Compaiono infatti nella Sabina protostorica alcuni luoghi con nomi di origine greco antica, come nel caso dell’isola di Issa (oggi Montisola) il toponimo Issa già di per sé vuol dire “isola” in greco. Anche i Monti Cerauni, riportati presso Trebula Mutuesca, derivano da Cerauno, termine di origine greca (= tuono), con cui erano indicati i Monti Sabini durante l’età del Bronzo finale. Per non parlare poi dei casi di Casperia e di Matiene (altro nome dell’antica Thora, oggi Sant’Anatolia), toponimi di origine “medio-orientale” forse mediati in Sabina proprio dai Pelasgi.

Tratto dal volume di Christian Mauri “La Sabina prima dei Sabini: gli Aborigeni e l’età del Bronzo. I santuari romani in opera poligonale”, Aracne editrice, Roma 2018.

 

 

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