25 settembre 1993, moriva a Rieti Manlio Scopigno

Ventisei anni orsono, era il 25 settembre 1993, moriva a Rieti MANLIO SCOPIGNO, il filosofo del calcio italiano. Rieti fu la terra d’adozione della sua famiglia, provenendo dal Friuli: e proprio al Fassini fece le sue prime esperienze da giocatore.

Nel 1944, infatti, a 19 anni esordì con la Tricolore (nella foto sotto) come terzino destro. Le sue qualità stilistiche e l’abilità nell’anticipare l’avversario ne fecero una delle colonne anche della futura Vaccarezza in C e nei due anni di serie B. Approdò alla Salernitana in B dove rimase per tre stagioni allorché il Napoli lo scelse per risistemare la difesa ma un grave infortunio al ginocchio gli stroncò praticamente la carriera.nel 1953.

Passò in panchina, tornando a Rieti in due occasioni: l’ultima alla guida degli amarantocelesti nello sfortunato spareggio di Viterbo per la D del 1958 malamente perduto contro il Tivoli. Eppure questa sconfitta gli aprì le porte della massima serie: fece del Lanerossi Vicenza (fino al 1965) una delle provinciali di lusso, poi Bologna, infine nel 1966-67 lo sbarco in Sardegna, a Cagliari. Qui Manlio realizzò il suo capolavoro, plasmando una squadra di assoluto livello, fondata sulla spina dorsale Albertosi-Cera-Nenè-Riva. Furono certamente le reti di Giggi Rriva Rombo di Tuono a trascinare gli isolani al primo storico scudetto della storia nella stagione 1969-70 ma, più in generale, quello del Cagliari di Scopigno era un calcio moderno, con pochi fronzoli e una difesa quasi impenetrabile.

Cagliari battezzò anche la leggenda del filosofo del calcio italiano sebbene non fosse abituato alle grandi piazze: prova ne fu la difficile esperienza sulla panchina della Roma nella serie A 1973-74 che si interruppe alla sesta giornata. Poi il ritorno a Vicenza ma la malattia lo costrinse pian piano al ritiro. Di quest’uomo potremmo dire tutto e il contrario di tutto…il presidentissimo della B, Florido Floridi, pochi mesi prima di morire, mi confessò: «Manlio fu troppo sfortunato nella sua carriera di calciatore, tradito dalle ginocchia fragilissime. Eppure io lo ricordo in campo mai falloso, toglieva la palla all’ala di turno avversaria quasi chiedendogli scusa, per subito far ripartire l’azione con uno stile e una intelligenza tattica davvero moderni. Certe volte mi sembrava simile al grandissimo Virgilio Maroso».

Questo fu Manlio Scopigno e Rieti lo volle ricordare per sempre intitolandogli lo Stadio “Centro d’Italia” (e senza dimenticare il fratello, Loris, cui venne parimenti intitolata la Sala stampa): un merito indiscusso per uno degli innovatori del calcio italiano!

di Fabrizio Tomassoni